Tra i numerosi specialisti presenti all’interno del nostro staff, siamo felici di collaborare con il Dott. Gianmaria Palumbo, Psicologo Clinico, dello Sport e del Benessere nell’Arco di Vita. Fondatore e responsabile di diversi studi professionali di Psicologia Clinica, Psicologia dello Sport e Psicoterapia integrata situati sia su Roma che Milano, lavora ogni giorno affinché le persone siano adeguatamente informate, formate e addestrate al benessere psicologico.
Una figura del genere può essere determinante nello sviluppo della carriera di un calciatore, per questo abbiamo fatto qualche domanda al Dott. Palumbo al fine di mettere un focus su tale importante disciplina.
Quanto la condizione psicologica può influire sulle prestazioni in campo?
“Vincere non è tutto, ma voler vincere si” (cit. Vince Lombardi). La preparazione mentale, mediante tecniche e procedure che aiutano a ottimizzare la prestazione, ha un’importanza fondamentale. A volte tanti sacrifici e tanto impegno per potenziare “il motore” vengono vanificati in gara da problemi emotivi e psicologici: ciò è tipico di chi rende meglio in allenamento che durante le competizioni. Per vincere ci vogliono gambe, cuore e testa. Esistono alcune caratteristiche psico-fisiche che contribuiscono al successo di un atleta o di un’intera squadra, ad esempio i pensieri che attraversano la mente di un calciatore durante la gara, la capacità nel saper mantenere la calma in un calcio di rigore, la coesione di gruppo, il dialogo interno come fattori determinanti per il conseguimento del risultato.
In quali casi ci si deve affidare a uno psicologo dello sport? E a quale età?
L’obiettivo di molti sportivi (e non solo) è quello di raggiungere il benessere e una prestazione ottimale. Ciò risulta possibile solo considerando la capacità di essere padroni di disporre della propria mente, ovvero padroni della propria essenza. Lo Psicologo dello Sport è l’esperto del benessere e della prestazione eccellente, dunque fondamentale in tutti i casi di empowerment psicofisico, dai più piccoli fino ai professionisti. La condizione fisica e le capacità tattiche e motorie dell’atleta sono fattori fondamentali su cui costruire una buona performance, ma se aggiungiamo ad esse il controllo emotivo sulle situazioni e le abilità mentali allenate adeguatamente, troviamo le condizioni per ottenere un ottimo risultato.
Come si articola la terapia?
Come ogni terapia in ambito psicologico, le modalità sono altamente specialistiche e variabili in base agli obiettivi, tempi e complessità inter/intra-individuali. Si attua attraverso alcune fasi: valutazione dell’atleta o della squadra, definizione degli obiettivi (goal setting) e intervento e preparazione dell’atleta attraverso il Mental Training. Di solito il programma prevede dieci incontri, un incontro alla settimana della durata di un’ora e mezzo circa per dieci settimane.
Quali sono le problematiche di tipo psicologico-comportamentale più frequentemente riscontrabili in un calciatore?
Le problematiche sono molteplici. Principalmente riguardano l’attenzione e la motivazione nella preparazione sportiva, ma anche le emozioni e la loro gestione, le difficoltà relative allo schema corporeo e quindi la realizzazione del gesto atletico. Come ogni essere umano, i calciatori possono avere una predisposizione all’ansia, sviluppare quindi sindromi ansiose o depressione. Altro discorso meritano il tema dell’infortunio e la gestione dello stress correlato. In una situazione di così grande difficoltà per un atleta, lo psicologo dello sport risulta di fondamentale importanza in quanto unico professionista in grado di operare su tali delicate questioni.
Differenze con la figura del motivatore?
Un motivatore non può essere uno psicologo dello sport, mentre quest’ultimo deve essere necessariamente anche un buon motivatore. Tale figura è una persona che riesce, tramite il proprio atteggiamento, le parole e l’esempio, a far agire un atleta affinché il raggiungimento dei suoi obiettivi sia più fattibile. La maggior parte delle persone crede però che motivare significhi semplicemente affermare ad alta voce “forza che ce la fai, forza che manca poco!”, ma non è cosi. Alcuni giocatori vogliono essere motivati caricandosi di energia, altri vogliono essere rassicurati, altri ancora vogliono solo una pacca sulla spalla.
Lo psicologo dello sport deve essere in grado di lavorare su questi aspetti, ma deve saper intervenire anche su ambiti più complessi e articolati. Tra questi troviamo la personalità degli attori coinvolti (siano essi atleti piuttosto che operatori di squadra), la gestione sistematica dello stato d’animo, la comunicazione interna al team o rivolta verso se stessi, verso l’allenatore e i compagni di squadra, la gestione dell’ansia prima della gara e in generale della pressione esterna e la corretta identità dell’atleta che deve sentirsi profondamente e totalmente adatto al ruolo che ricopre e vincente in ciò che fa. In ultimo, ma non meno importante, molti degli strumenti per la valutazione del profilo cognitivo, di personalità e di performance sono ad uso esclusivo dello psicologo come unico professionista abilitato dallo Stato per poter operare con test adeguati.
Genitori di un calciatore: gli errori da non fare?
È sempre importante cercare di non perdere il “buon senso” di ciò che si fa e affidarsi alle indicazioni dei professionisti che hanno in carico il calciatore. Capita frequentemente che i genitori si sostituiscano agli allenatori dando indicazioni su come gestire aspetti calcistici. Queste istruzioni possono trasmettere ansia ai giocatori, senza contare che possono persino contraddire le indicazioni fornite dai tecnici.
Da un punto di vista scientifico, il cervello umano si nutre di errori, ovvero evolve secondo un meccanismo che procede per prove ed errori. Ciò significa che l’errore è alla base dell’apprendimento. Spesso accade che i genitori spronino i loro figli a cercare di non commettere errori, a non sbagliare, e quindi a non evolversi. Aspetto da cui guardarsi bene, considerando che il figlio tenderà a soddisfare le loro aspettative! In questo modo si rischia di perdere anche il divertimento nel giocare a calcio. In secondo luogo, secondo le teorie comportamentiste, ogni volta che si focalizza l’attenzione su un comportamento si aumentano le probabilità che questo venga riproposto. Questo meccanismo, che rientra nel concetto di “rinforzo”, fa comprendere chiaramente quanto sia importante rinforzare i comportamenti positivi rispetto a quelli negativi, gratificando la performance e il calciatore che tenderà a riproporre quel comportamento, quel gesto atletico “osservato e rinforzato”, a sentirsi più sicuro, stimato e quindi a giocare meglio.